IO MI SONO SCOCCIATA
Io sono una donna, una madre, una scrittrice. A un certo punto della mia vita mi sono «scocciata» e ho messo le ali.
Grazie alla forza delle ali è nata Ilaria B. la protagonista del mio romanzo, che ho scritto sotto forma di denuncia e testimonianza, per ricordare che dalla violenza domestica si può e si deve cercare di uscire in ogni modo.
«Tutto ha un prezzo. Più o meno caro. Quello che ho pagato io è stato molto caro.
Non avrei mai immaginato di ritrovarmi a quarant’anni, io, donna determinata, intransigente, con le idee ben chiare, ad accettare un compromesso così pesante. Eppure, ci si deve trovare in certe situazioni per poter giudicare, lo devo dire al Giudice. Per cinque anni ho cercato di non vedere, di far finta di niente, di dimenticare, ma adesso, per ironia della sorte, nemmeno se mi sforzo riesco a togliermi dalla testa tutto quello che è stato. Non voglio dimenticare, non prima di averlo detto al Giudice, ai testimoni, all’imputato, al mondo! Perché si deve sapere che cos’è il maltrattamento in famiglia, quanto fa male, quanto uccide dentro.
Queste cose gliele devo dire signor Giudice, perché fanno rabbia, prima di tutto a me, sì, me ne voglio, per non avere avuto sufficiente autostima per dire: “Basta, io non mi merito questo, io valgo molto di più, io non accetto queste umiliazioni, queste percosse, questi maltrattamenti”.
Avrei dovuto gridarglielo in faccia: “Io sono Ilaria B. e nessuno ha diritto di mettere le mani su di me o sui miei figli!”, invece di abbassare lo sguardo e dire: “Mi dispiace, non avrei dovuto provocarti”.
Io per cinque anni ho tirato avanti pensando di essere nel giusto a sopportare, anche perché di questi maltrattamenti non se ne parla, sono cose personali, i panni sporchi di casa. Sempre più fagocitata dall’autoconvincimento che tutto questo fosse normale, anzi, più che normale, avendo avuto davanti a me l’esempio dei miei genitori, non mi ponevo il problema. Ma poi la corda si è spezzata, le proporzioni della violenza sono diventate preoccupanti, e ogni volta che al telegiornale annunciavano l’ennesimo femminicidio mi veniva un colpo al cuore.
Legga qui, signor Giudice, legga questo bollettino di guerra: “Accoltellate, strangolate, soffocate, uccise a botte e a colpi di pistola, sezionate, vittime della furia omicida degli uomini a loro cari: mariti, compagni, figli, fratelli o nipoti…
Tutte eccetto me, che sono qui oggi a raccogliere gli onori che tutti voi mi dovete.
Il maltrattamento è diventato il mio stendardo, porto alta la bandiera della denuncia contro la violenza, vado a testimoniare appena posso, ai corsi informativi, alle ricorrenze in onore delle donne, l’8 marzo “Giornata internazionale della donna”, il 25 novembre “Giornata mondiale contro la violenza sulle donne”, porto la mia esperienza, esorto a fare quello che va fatto, perché la mia parola è come un seme che cade sul terreno e, laddove il terreno è fertile, c’è probabilità che germogli; e se anche la possibilità che germogli è una su cento, una su mille, una su un milione, ne sarà valsa comunque la pena, se il bilancio delle vittime, grazie a quel semino, scenderà a 122, magari a 121, finché un giorno scenderà a zero. Deve scendere a zero, voi dovete fare in modo che la violenza sia neutralizzata, annullata, disintegrata, azzerata. Dobbiamo gridarlo forte tutti insieme. Dobbiamo volerlo tutti insieme disperatamente. Andiamo nelle scuole, nelle biblioteche, nelle piazze, nei musei, nei luoghi pubblici, nelle strade, andiamo a informare l’uomo e la donna comuni, andiamo a formare le nuove generazioni, andiamo a educare i nostri figli alla non violenza e al rispetto.
Le mie figlie, Serena e Gaia sono la mia sola e unica ragione di vita. I loro nomi, per nulla casuali, esprimono quello che, amorevolmente e sinceramente, auguro loro. Per paura di perderle non mi sono rivolta subito alla legge. Ha fatto fatica la mia amica a farmi capire quanto fosse pericoloso lasciarle in balia di questo squilibrato, di questo mostro, ma alla fine l’ho ascoltata ed è a lei che devo la vita e il fatto di essere qui oggi».
Se vi trovate in una situazione di violenza, se state subendo maltrattamenti o abusi da chi dice di amarvi ma non vi rispetta, Ilaria ed io vi invitiamo a «scocciarvi», sì, a dire basta alla violenza.
Lasciate che le ali spuntino vigorose dalle vostre spalle e vi portino al di sopra del labirinto affinché dall’alto voi possiate contenere con lo sguardo l’intera prospettiva e individuare chiaramente la via d’uscita. Una volta individuata percorretela fino in fondo, senza più ripensamenti.
Fatelo per proteggervi e per proteggere.
E poi con lo scotch della resilienza ri-scocciatevi di nuovo per rimettere insieme i pezzi della vostra autostima e riprendere in mano la vostra vita, più forti di prima.
Noi l’abbiamo fatto!
Scrivici e mandaci la tua foto scocciata.
La tua storia verrà pubblicata qui sul sito e sui social!
Insieme possiamo fare la differenza contro il sessismo.