IO MI SONO SCOCCIATA
Parto da me: sono una donna ‘fortunata’. Nella mia vita ho subìto ‘solo’ discriminazioni, molestie, insulti sessisti. Queste violenze di genere, secondo la definizione della Convenzione di Istanbul, sono tanto consuete che noi donne stesse le consideriamo Piccoli contrattempi del vivere. Certo mi hanno causato sofferenze, ma la mia preadolescenza e adolescenza le ho vissute in anni particolari: avevo 14 anni nel ’68, assistevo al mondo che cambiava in diretta, cambiavano i rapporti tra uomini e donne e, soprattutto, non ero sola di fronte al sessismo.
Le altre, mamma e nonna, maestre, amiche, compagne di lotta, mi hanno accompagnata a costruirmi ‘autorevolezza femminile’ nello spazio privato e in quello pubblico e mi hanno insegnato l’orgoglio e la fierezza di appartenere a una delle due metà del genere umano che intende prendere parola su tutto, perché ogni questione ci riguarda, non solo quelle ‘femminili’.
È lo spazio pubblico che vorrei illuminare, perché, anche nel nostro Paese, si tende ad enfatizzare l’aspetto privato, relazionale, delle violenze di genere, confinandole quasi esclusivamente all’interno del rapporto uomo-donna.
Certo, anche io ho partecipato alla campagna internazionale #metoo, insieme ad altre ho preso parola per rompere il silenzio sugli stereotipi di genere di una società malata che tenta di far coincidere la libertà femminile con la disponibilità delle donne a concedersi, ma sono convinta che fino a quando non riusciremo a passare dal #metoo al #wetoogether, non saremo in grado di cambiare i ruoli sociali e i rapporti di potere, responsabili delle violenze di genere.
I nostri racconti, pur importanti e liberatori, non sono sufficienti a esplicitare la rilevanza sociale e politica, connessa alla violazione dei diritti umani delle donne.
Eppure di violazione dei diritti umani si tratta quando la violenza o la minaccia si verificano in una caserma di polizia o durante gli accertamenti di routine su una donna agli arresti domiciliari, o tenendo sotto minaccia di ritiro dei documenti donne immigrate, o palpeggiando le manifestanti No Tav o stuprando donne in stato di fermo, come ha fatto nella Questura di Genova un poliziotto, per questo condannato dalla Cassazione a 12 anni e mezzo.
Il corpo delle donne continua a essere usato come luogo di potere maschile e campo di battaglia ovunque noi donne cerchiamo di manifestare il desiderio di libertà-liberazione: nelle case, nelle piazze, nelle strade, nelle guerre.
Insieme ad altre Donne in nero, la rete internazionale attiva per i diritti umani di uomini e donne, ho raccolto testimonianze, denunciato violazioni dei diritti, lottato contro la violenza maschile in tutte le sue forme, a partire dalla guerra, massima espressione del patriarcato che da sempre semina morte e distruzione, colpendo le donne con povertà, migrazioni, violenze, abusi sessuali, tratta, stupri, usati come armi per l’affermazione del potere maschile su corpi e menti.
Con le Donne in nero ho incontrato donne straordinarie, in grado di trasformare sofferenze individuali in lotte collettive, come le Madres de Plaza de Mayo, le donne afgane di Rawa, le colombiane della Ruta pacifica de las mujeres, le indiane del movimento Gang Gulabi e dell’associazione Prajwala, le esponenti del Syrian Women Forum for Peace, le egiziane di OpAntiSH, le messicane di Nuestras hijas de regreso a casa, le guatemalteche della Red Coordinadora de Organizaciones de Mujeres Ixhiles, le Women living under muslim laws, Il Tribunale delle Donne della ex Jugoslavia, per un approccio femminista alla giustizia, le ebree contro l’occupazione, le kurde Madri del sabato, le iraniane della Society for Protecting the Child’s Rights, fondata dalla Nobel per la Pace Shirin Ebadi…
Fare luce sulla forza con cui queste donne reagiscono alle violenze di genere che hanno subito e subiscono, oltre che a farci posare lo sguardo su realtà poco note e poco raccontate, ha anche l’eccezionale risultato di farci intravedere strisce di futuro, anche in tempi bui come quelli che viviamo.
Da loro ho imparato che i diritti umani delle donne o sono di tutte, tutti i giorni, in ogni parte del mondo o non sono; che anche nelle nostre società diritti già conquistati rischiano di essere perduti. E soprattutto che io, certo, sono anche una Woman in White ma, con Virginia Woolf, «come donna non ho patria, la mia terra è il mondo intero».
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Insieme possiamo fare la differenza contro il sessismo.